Cos’è il caso? Una forma, un cerchio che divide quello che avrebbe potuto essere da quello che sarà. All’interno, altre forme, altri cerchi, altri piccoli eventi che dividono le età della tua vita, i tuoi anni, le tue settimane, le tue giornate e perfino tuoi istanti, in ciò che avrebbe potuto essere e ciò che avverrà. Nel disegno spesso un tratto suggerisce alla tua mano il successivo e quei cerchi concentrici si susseguono fino alla creazione dell’immagine definitiva che, nel mio caso, è quasi sempre narrazione. Perché il mio lavoro è raccontare per immagini e la componente casuale è spesso decisiva: ogni scelta è il frutto di esperienze, di film visti, di scorci che ogni giorno rimangono impressi nella memoria, di lezioni apprese o che si vorrebbero apprendere, di suggestioni che derivano da elementi reali e percorsi mentali.
In questi ultimi anni sto disegnando Tex. Un’icona, un successo editoriale che dura da settanta anni, un punto di arrivo per tanti disegnatori. E ci sono arrivato “per caso”. Quando frequentavo il Liceo Scientifico e disegnavo sul diario o imbrattavo il banco, stavo riflettendo su quale facoltà universitaria scegliere ma vidi un servizio in tv sulle scuole di fumetto che formavano nuovi disegnatori. Con incoscienza decisi che quello sarebbe stato il mio futuro, in perfetto contrasto con la mia indole cocciutamente razionale, e scelsi la Scuola Romana dei Fumetti. Non sono mai arrivato a frequentarla (anche se ora insegno lì…), perché ho incontrato quello che divenne il mio maestro: Stefano Andreucci. A bottega da lui imparai a disegnare e a raccontare (il fumetto non è scarabocchiare pupazzetti: devi essere al contempo regista, attore, direttore della fotografia, direttore del casting, scenografo e, se vuoi farlo bene, devi avere competenze da sceneggiatore, conoscenza della storia dell’arte, di quella cinematografica e una pazienza biblica sia per stare ore e ore sul tavolo sia per altre cose che, per diplomazia, ometterò…). Stefano era ed è un grande insegnante, tuttavia c’è stato un momento in cui mi sentivo preparato per lavorare ma non riuscivo a trovare l’occasione per cominciare. Avevo mandato molto materiale a vari editori ed anche alla Sergio Bonelli (Tex, Dylan Dog, Zagor, Dampyr, Julia e una miriade di altri titoli; in pratica l’editore più importante in Italia e uno dei più importanti in assoluto) ma niente. Dopo anni di impegno, studio, fatica e rinunce, tutto sembrava naufragare. Anni sprecati, mi dicevo. Avevo fatto vari colloqui per dei lavori diversi e, dopo qualche mese di dubbi, mi ero messo l’animo in pace. Poi all’improvviso il caso o il destino, non so come definirlo, si è materializzato sotto forma di una telefonata: l’editor di Zagor (oggi di Tex, Tex Willer e Dampyr), Mauro Boselli, mi chiamava per sapere se avessi voluto fare le prove proprio per lo Spirito con la Scure; io ho accettato di buon grado e questo è il diciottesimo anno che lavoro per loro. Il diciottesimo anno da professionista. Ora, dopo aver realizzato molti racconti di Zagor, qualcuno per Dampyr (forse quelli che ho amato di più disegnare…), il primo numero di Morgan Lost e varie cover italiane ed estere, sono al lavoro solo sui racconti di Tex e di Tex Willer. Le prime due brevi storie sono state pubblicate su collane collaterali come il Color Tex e il Tex Magazine, poi sarebbe dovuta arrivare la serie regolare. Il racconto era molto interessante, ambientato durante la terza guerra dell’Esercito Americano contro l’eterogenea tribù Seminoles (1858) e durante la gioventù di un Tex inseguito dall’agente federale Brian Carswell. Anche qui il caso ci ha messo lo zampino perché, mentre disegnavo la storia, venne varata la collana Tex Willer, che avrebbe narrato e approfondito le avventure del nostro quando era ancora pressoché ventenne, ancora fuorilegge e non ancora Texas Ranger, e il mio racconto venne spostato proprio su quella collana. Dopo 370 pagine di guerriglia, fughe rocambolesche, avventure romantiche, attacchi di alligatori e sparatorie varie, il racconto è stato pubblicato da aprile a settembre dello scorso anno nella suddetta collana. E a marzo verrà raccolta in un volume unico.
Ho già accennato ai tanti ruoli che il disegnatore svolge all’interno di un racconto e ognuno li svolge a modo suo. Io sono quello che definisco un disegnatore analitico: ogni paesaggio, ogni scenario, ogni personaggio che affronto mi richiede uno studio approfondito. Se il mio Tex si muove in Arizona, ricerco moltissimo materiale fotografico, cerco di capire quali piante ci sono, la tipologia delle rocce ecc. Anche la luce ha un ruolo fondamentale; si potrebbe dire che disegno prevalentemente in bianco e nero, ma per rendere lo stesso l’atmosfera del deserto va capito che tipo di ombre gettano i corpi e quanto il “rimbalzare” dei raggi solari sul terreno renda quelle ombre piene o sfumate. Uno studio analogo va fatto se parliamo di Wyoming o paesaggi innevati in cui il contrasto tra luci ed ombre sarà superiore.
Anche lo studio degli animali è simile: si guarda la loro anatomia (io la comparo con quella umana per riuscire a gestire meglio i movimenti) e si studiano filmati per capire meglio i loro atteggiamenti e comportamenti. Insomma molto lavoro per poter dare al lettore un’esperienza il più possibile realistica. Va da sé che anche le armi e l’abbigliamento vanno curati nel modo giusto ( trovare le giuste divise dell’esercito del 1858 è stata un’impresa), ma la situazione più complessa è quella che riguarda la rappresentazione di Tex e i suoi pards. Perché i lettori li amano da settanta anni, si identificano con loro, anzi spesso si fa coincidere un’ideale di giustizia con quella realizzata dai nostri eroi. Infatti, nella finzione scenica, il lettore sa che Tex ha ragione per definizione; quindi se punisce qualcuno è giusto, se lascia andare un “pesce piccolo” vuol dire che questo merita una seconda possibilità. Ammetterete che tutto questo è molto rassicurante se si pensa alla complessità del mondo in cui viviamo; quello che è meno rassicurante, per il disegnatore, è l’attenzione con cui si devono rappresentare questi personaggi: uno sguardo alla tradizione ma anche al moderno realismo, alla recitazione ma anche all’imperturbabilità e iconicità della sua figura, senza dimenticare il legittimo desiderio di farlo recitare e rappresentarlo secondo la propria carica espressiva. E in questa operazione la componente casuale deve essere assolutamente bandita: è un difficilissimo lavoro di bilanciamento, a volte anche doloroso e frustrante perché si vorrebbe dare di più ma ci si deve giustamente adeguare a certi canoni.
La parte più divertente del lavoro è probabilmente quella del character design dei comprimari. Nel western è fondamentale cercare di realizzare personaggi che rimangano impressi nel giusto modo: caratterizzare troppo un bandito che muore dopo due pagine non solo avrebbe poco senso, ma potrebbe essere narrativamente controproducente perché si toglierebbe importanza alle figure sulle quali è più giusto guidare l’attenzione del lettore. Tuttavia in questo ambito si può trovare tanto spazio per lasciare la propria impronta e rendere più interessante la narrazione. Quello che trovo enormemente emozionante è inoltre la rappresentazione degli enormi spazi aperti americani e il cercare di condurre lontano lo sguardo del lettore. A volte bastano due linee, a volte occorre disporre sapientemente rocce e nuvole per accentuare la prospettiva ed inserire un cavaliere solitario che possa suscitare emozione. Forse è il caso che mi ha portato in quegli spazi sconfinati a immaginare e comporre quelle forme, a dare vita a quei personaggi ma quello che spero è che ora rivolga la sua attenzione altrove e mi lasci lì a giocare ancora…
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