Fotografare la guerra per un reporter probabilmente è una delle ambizioni più alte: c’è il rischio di perdere la vita, è vero; di vedere delle situazioni che probabilmente ti porterai dentro per anni e anni, è altrettanto vero, ma la spinta a documentare un evento di questo genere per molti fotografi è nettamente più forte. Perché, vuoi o non vuoi, la guerra segnerà la storia e tutte le pagine dei libri dei prossimi anni, ed essere testimone oculare di un evento, seppur drammatico come il conflitto tra Russia e Ucraina, per chi è innamorato come me del fotogiornalismo, è una situazione assolutamente da non perdere. È così che quando è arrivata la possibilità di documentare uno spaccato di questa guerra, tra l’altro molto vicino alle mie passioni per gli animali, non ho esitato un secondo. Grazie ad un contatto comune a metà maggio mi sono rapportato con Sara Turetta, presidente e fondatrice di “Save The Dogs”, l’associazione che da vent’anni opera in Romania e che ha creato a Cernavoda uno dei centri europei più all’avanguardia per quanto riguarda la salvaguardia e cura degli animali, realizzando campagne di sterilizzazione in un paese dove il randagismo è ad una percentuale ancora altissima. Dato che il mondo sta affrontando un grave problema di sovrappopolamento canino e felino causato dall’uomo, da cui hanno origine tanto il randagismo endemico di alcuni territori quanto la prigionia di milioni di cani e gatti nei rifugi di tutto il mondo, “Save the Dogs” si adopera per ridurre le nascite incontrollate di queste specie animali e affinché quanti più cani e gatti adatti ad una vita domestica possano trovare una buona adozione. La telefonata con Sara è stata breve, ma subito molto chiara:
“Mi metto a disposizione per documentare il vostro lavoro in Romania e soprattutto in Ucraina”. La sua risposta è stata altrettanto perentoria:
“Possiamo organizzare una decina di giorni dove potrai stare accanto a tutto quello che facciamo”. Sì, perché “Save the Dogs” in Romania ormai è una realtà veramente importante, ed è per questo che dai primi di marzo, vista anche la vicinanza geografica con la frontiera di Isaccea, è diventata un punto di riferimento per molte organizzazioni internazionali che hanno trovato nella stessa associazione un partner affidabile e trasparente nell’uso dei fondi e degli aiuti per l’Ucraina. Prima di partire per la frontiera di Isaccea, ho visitato le zone periferiche di Cernavoda, dove il randagismo ancora regna purtroppo come piaga e ho documentato il centro di recupero per animali creato da “Save the Dogs”. Mi rendo conto che un centro di recupero come quello creato da “Save The Dogs” è un’utopia in Italia, e forse anche in altre nazioni, e la Romania è molto fortunata ad averlo sulla propria terra, così martoriata dalla piaga del randagismo, che risale, come collocazione storica, al periodo successivo alla caduta del muro di Berlino. I lavoratori del centro di Cernavoda sono altamente professionali e cercano in ogni modo di soddisfare ogni esigenza, viaggiando di villaggio in villaggio per arginare i branchi che corrono numerosi lungo la periferia e per infondere la cultura della sterilizzazione in una terra martoriata da abbandoni. All’interno del centro di recupero in pochi giorni documento ogni situazione, dalle nascite di piccoli cuccioli, al recupero di cani abbondonati lungo la strada del centro, dalle terapie di piccoli gattini fino all’eutanasia di diversi cani: sì, perché qui vige la regola del non accanimento sugli animali e se non c’è nulla da fare meglio addormentare il povero animale che lasciarlo soffrire per giorni e giorni. Poi quando vi troverete davanti agli occhi di un cane o un gatto che vi guardia mentre si addormenta vi sfido ancora a dire la solita frase “ma solo sono animali”. Comunque dopo questi primi giorni ci spostiamo verso la frontiera, da dove provengono prevalentemente profughi dalle zone di Odessa e dal sud della nazione. Il primo impatto è stato molto forte come mi immaginavo. L’emergenza non tende a diminuire ed è anche mutata, perché, insieme a coloro che arrivano a piedi affrontando viaggi interminabili che li porteranno in varie nazioni europee, inizia ad esserci un costante numero di auto cariche di bagagli e di famiglie, anche benestanti, che iniziano a vacillare e ad avere timore per le loro vite. Tutto ciò unito ad un’altra emergenza che è quella del ritorno “obbligato” di tanti ucraini che si trovano in paesi, come la Bulgaria dove, scaduti i tre mesi, l’accoglienza non è più un diritto, e affrontano il ritorno a casa pur non sapendo che cosa troveranno. In questo flusso migratorio, che dal 24 febbraio ha letteralmente violentato l’est Europa e non solo, ci sono le storie dei profughi con i loro animali, cani di ogni razza, gatti, colombe, tartarughe, conigli e roditori messi negli zaini, all’interno di borse o semplicemente portati in braccio in fagotti di fortuna, ma che almeno in Romania, grazie all’opera costante del team di “Save the Dogs”, riescono ad essere supportati in ogni esigenza e richiesta. Dall’inizio dell’emergenza risultano 42 volontari impegnati, 995 animali assistiti, 550 trasportini donati, 885 bustine di cibo umido oltre a 97 tonnellate di cibo per cani e gatti inviati a Odessa, Izmail, Reni e Mycolaev, 30 cani salvati da una struttura di Odessa sotto attacco e 2367 cani e 2029 gatti che hanno potuto ricevere cibo nelle zone di guerra. Non ho fotografato le zone bombardate, è vero, ma gli occhi di chi scappa e oltrepassa la frontiera abbracciando quasi a stritolare il proprio animale è un’immagine che rimarrà a vita nella mia testa perché è come se le bombe, attraverso i loro occhi, le avessi viste scoppiare vicino a me.
“Anche se la guerra distrugge ogni quotidianità – continua Sara Turetta – nessun cittadino ucraino in fuga si è voluto separare dai suoi animali. Abbiamo fatto presente la possibilità di affidarceli in via temporanea o definitiva, ma nessuno ha voluto separarsene. Gli unici casi sono stati quelli dei profughi che non potevano far salire i propri animali negli aerei di compagnie low-cost, in quanto le stesse non hanno mai cambiato la loro politica, nonostante avessimo raccolto più di 20.000 firme a supporto di questa situazione d’emergenza. C’è chi, per non separarsi dal proprio animale, ha intrapreso viaggi della speranza con treni e autobus cambiando i biglietti aerei, oppure chi ci ha affidato il proprio amico a quattro zampe sapendo che noi l’avremmo portato a destinazione grazie ai nostri contatti”.
In questo girone dantesco dove è possibile vedere ogni situazione e realtà, possiamo ricordare Tatiana, nata nel 1944 di Odessa, arrivata in frontiera in ciabatte con due cocker molto malconci, ma che, dopo aver ricevuto cibo per i suoi cani, si è commossa ricordando che “noi siamo stati sempre fratelli con i russi e non mi do pace per quello che sta succedendo”. Perché nonostante tutto, nonostante l’orrore della guerra, nonostante i morti, i bombardamenti e l’abbandono della propria terra, l’animale riesce comunque a far trovare la luce dove l’oscurità sembra pervadere il tutto.
0 Comments