Antonio Fusco
Iniziamo con la domanda perfetta per metterti a tuo agio: presentati in “due minuti”, come se fossi avanti a una platea di sconosciuti.
Mi chiamo Antonio Fusco, ho 56 anni, sono napoletano d’origine ma da 20 anni vivo e lavoro in Toscana. Sono un funzionario della Polizia di Stato, mi occupo di investigazioni e indagini di polizia giudiziaria. Sono laureato in giurisprudenza e scienze politiche e ho conseguito un master in criminologia forense. Scrivo da sempre, anche sui muri da ragazzo, ma ho terminato il mio primo romanzo a 50 anni e da allora non mi sono più fermato. Ne ho scritti 6, tutti che raccontano le indagini del commissario Casabona.
Come mai hai deciso di dedicarti alla scrittura? Ispirazione improvvisa o sogno nel cassetto?
Avevo delle cose da dire e mi è sembrato il modo migliore per farlo. Anche in considerazione del fatto che il mio lavoro, per questioni di riservatezza e opportunità politica, non mi consente di esternare molto il mio pensiero.
Pensi mai di cambiare genere letterario?
Lo penso spesso. Per me, portare a termine un romanzo è come scalare una montagna. Arrivo alla fine soddisfatto ma esausto. Allora penso: la prossima volta vado al mare. Preparo anche il costume da bagno e l’asciugamano. Poi Casabona (il mio personaggio) si avvia tra monti e valli e mi tocca seguirlo.
Dove trovi gli spunti per inventare sempre nuove storie?
In genere, lo spunto nasce da fatti di cronaca, vecchi o nuovi. Storie che apprendo dai giornali o dalla tv. Mai cose che riguardino direttamente il mio lavoro.
Ci sono stati momenti in cui avresti voluto mollare trame, personaggi, indagini?
Non è mai successo. Mi capita di incontrare qualche difficoltà durante il cammino ma sono sempre riuscito a trovare il modo per superarle ed arrivare alla fine.
Quanto traspare di te, nei personaggi dei tuoi romanzi?
La maggior parte degli scrittori, di fronte a questa domanda, tende a minimizzare. Anche io lo faccio. È una forma di pudore. In realtà, soprattutto quando il mio personaggio fa considerazioni, riflessioni su tematiche di carattere universale come l’amore, il dolore, il male, ecc., esprime la mia visione della vita e del mondo. Solo uno schizofrenico può negarlo e sperare di essere creduto.
C’è un personaggio, scritto da altri, che avresti voluto creare tu?
Fabio Montale di Jean Claude Izzò. La sua Marsiglia mi ricorda la mia Napoli ed il suo personaggio esprime tutta l’appocundria (per dirla alla Pino Daniele) dei popoli del mare.
E per concludere, la classica domanda finale… quali sono i tuoi progetti per il futuro, letterari e non?
Il mio progetto principale per il futuro è quello di esserci e, sé possibile, in buona salute. A livello letterario spero di trovare il tempo e l’opportunità per scrivere qualcosa di diverso da Casabona. Eccolo, ora si offende. Non lo dico perché sono stufo di lui, anzi, credo che abbia ancora molte storie interessanti da raccontare. È per rompere il ritmo. Un’innocente evasione, ma poi torno.
Alice Basso
Iniziamo con la domanda perfetta per metterti a tuo agio: presentati in “due minuti”, come se fossi avanti a una platea di sconosciuti.
Mi chiamo Alice Basso, sono milanese di nascita e torinese d’adozione, nella vita diurna faccio la editor e la redattrice per varie case editrici ma la notte, come Batman, divento un’autrice di narrativa, uhm, giallognola?, arancione? Insomma, gialla ma non troppo, con tocchi di comicità, di rosa e tanta metaletteratura perché le mie protagoniste (la ghostwriter Vani Sarca e la dattilografa del 1935 Anita Bo) si muovono sempre in contesti che hanno a che fare con libri ed editoria. Se vogliamo dire anche qualcosa di serio, ho pubblicato, sempre con Garzanti, dal 2015 al 2019 i 5 libri della serie su Vani Sarca e nel 2020, con “Il morso della vipera”, è cominciata la serie su Anita Bo.
Come mai hai deciso di dedicarti alla scrittura? Ispirazione improvvisa o sogno nel cassetto?
Ho sempre scritto. Sempre. Da quando mi hanno insegnato a farlo, in prima elementare, non sono mai stata senza un romanzo in corso. Il che non significa che abbia mai pensato davvero che sarei diventata scrittrice: mi sarebbe bastato anche solo lavorare sui libri, coi libri, e infatti è quel che faccio, da editor. Nel 2014 ho scritto un romanzo giallo-comico che mi è sembrato un po’ più presentabile dei precedenti che marcivano nei miei cassetti e ho deciso di provare a vedere se qualche editore ne potesse pensare la stessa cosa, ed è andata bene.
Pensi mai di cambiare genere letterario?
Non solo lo penso, ma probabilmente già adesso non sono molto aderente alla definizione di “genere”… I miei gialli, come dicevo, sono gialli per finta, il mistero è solo un attaccapanni a cui appendere altri temi (per esempio, nella serie di Anita, che è ambientata nel 1935, il problema della censura e la funzione della letteratura di denuncia). Lavoro anche molto con la letteratura per ragazzi, che è un mio grandissimo amore, e un domani mi piacerebbe tantissimo cimentarmi anche in quella.
Dove trovi gli spunti per inventare sempre nuove storie?
Adesso dirò una cosa che può sembrare molto presuntuosa, ma vediamo se riesco a spiegarmi e a darle la dimensione giusta. Io ho il problema opposto al classico horror vacui da pagina bianca: ho troppe storie, troppi spunti che mi vengono in mente. E sembra una gran figata, ma è solo l’altra faccia della medaglia, perché il mio problema è tagliare, selezionare, rinunciare; non si può fare tutto, non c’è abbastanza tempo, e non serve a niente avere dieci idee valide al 70%: devi avere il coraggio di scartarle e cesellartene una che sia valida al 100%.
Ci sono stati momenti in cui avresti voluto mollare trame, personaggi, indagini?
L’ho fatto, ma con una motivazione positiva, non per esasperazione. Mi riferisco al fatto di aver fatto durare la serie di Vani Sarca solo cinque libri: era una decisione presa a monte, perché io sono una grande sostenitrice delle serie brevi, con un finalone progettato sin da subito per tirare tutte le fila; non trovo rispettose né per il personaggio né per i lettori le serie che si trascinano all’infinito e che a un certo punto vengono chiuse solo perché un contabile ha deciso che non fanno più guadagnare abbastanza. Quindi, sì: ho chiuso la serie di Vani Sarca ma per onorare il mio progetto, non perché mi fossi stancata del mio personaggio (al quale vorrò sempre molto bene).
Quanto traspare di te, nei personaggi dei tuoi romanzi?
Apparentemente… molto poco: Vani è una dark taciturna e misantropa e Anita una bellissima svampita (in realtà è molto sveglia e dotata di immenso spirito pratico). Entrambe hanno grande intuito e spirito di osservazione. Io sono una tappetta logorroica, distratta e casinista. Però una cosa posso dirla: Vani e Anita me le sono create in modo che mi stessero simpatiche. Insomma, dovendo vivere cinque anni con ciascuna delle due, chi sarebbe così scemo da crearsi due protagoniste insipide? Così ho attribuito a entrambe il senso dell’umorismo e la battuta pronta, sferzante (molto più pronta e sferzante delle mie, in verità: che invidia).
C’è un personaggio, scritto da altri, che avresti voluto creare tu?
Sherlock Holmes o Harry Potter, perché mi avrebbero resa miliardaria! Scherzi a parte, ho sempre trovato geniale il “capro espiatorio” Malaussène di Pennac. E se ci rifletto sono certa che me ne vengono altri duecento: Hap e Leonard di Lansdale, il duro e ironico Philip Marlowe… Ma il mio personaggio preferito di sempre, quello di cui sono proprio un po’ innamorata da quando avevo 13 anni, è Cyrano de Bergerac.
E per concludere, la classica domanda finale… quali sono i tuoi progetti per il futuro, letterari e non?
Anita! Siamo al primo libro della sua serie… e se tutto va bene ne abbiamo altri quattro davanti!
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