Intervista al cardinale Matteo Maria Zuppi
Assisi, 03 settembre 2022
Il cardinale Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei è un tipo gioviale con un bel sorriso che lo rende irresistibilmente simpatico fin dal primo istante. Alto, magro con un ciuffo di capelli grigi un po’ svolazzante, lo si nota distintamente tra la folla che, accalcata sul sagrato della basilica superiore, lo circonda quasi fosse una rockstar. Tutti vogliono qualcosa da lui, lo chiamano, lo cercano, qualcuno più intraprendente lo prende dolcemente per un braccio e tuttavia lui non si nega a nessuno, a ognuno dedica attenzione, una parola, una foto, almeno il suo sorriso. Poi voltandosi di scatto verso un frate che evidentemente lo marca stretto, con un inconfondibile accento romano chiede: «Che per caso ce lo abbiamo il quarto d’ora accademico?» Si perché sua Eminenza è come sempre in ritardo, lo attendono a brevissimo per una conferenza e così svanisce subito anche la speranza di fargli qualche domanda con tutta calma: questa intervista mi sa tanto che me la dovrò sudare. Per fortuna don Tonio Dell’Olio, mio illustre accompagnatore, lo intercetta tra una foto e una stretta di mano: «Matteo me lo avevi promesso ricordi!» Così, facendoci largo a fatica tra la gente, abbiamo guadagnato velocemente le scale per infilarci in una stanzetta del Sacro Convento, inseguiti dagli sguardi d’invidia dei tanti giornalisti che lo stavano attendendo con la mia stessa intenzione. Seduti intorno a un tavolo ci presentiamo velocemente e con semplicità proprio nel mentre il suo collaboratore, onnipresente, mette le cose in chiaro in modo inequivocabile: «abbiamo 15 minuti al massimo». Saltato dunque ogni formalismo iniziamo la nostra conversazione.
- Eminenza, per voi questo è un tempo di Sinodo
Non solo per noi, l’esperienza sinodale coinvolge tutto il mondo della Chiesa, nessuno escluso. Il percorso che è stato intrapreso nel 2021 e che si concluderà nel 2023 necessità del contributo di tutto il popolo di Dio ed è un tempo prezioso che non va sprecato, utile per raccogliere idee, proposte e anche l’asprezza della critica, per migliorare e migliorarci senza nessun timore. Da parte nostra dobbiamo tentare di coinvolgere le varie realtà a tutti i livelli e vivere, ancora più intensamente, questa dimensione di ascolto sia internamente che verso i nostri compagni di strada. Porsi dunque in ascolto di Gesù, e con Gesù mettersi ad ascoltare i tanti che ci parlano della loro realtà, i tanti con cui “ri-capire” cos’è oggi il Vangelo nella loro e nella nostra vita. In troppi nella Chiesa si sono sentiti e si sentono ancora inascoltati!
- Lei è senza dubbio uno dei principali interpreti della “Chiesa in uscita” di Papa Francesco. Recentemente, partecipando qui ad Assisi all’evento dedicato a Pasolini, l’ho sentita parlare del concetto di “Chiesa in entrata”, sembrerebbe quasi una contraddizione in termini.
Tutti noi, e intendo noi chiesa, noi clero, facciamo fatica a uscire. Questo perché ci sentiamo più protetti e crediamo di capire il mondo partendo dal nostro spioncino, oppure più semplicemente pensiamo: vengano loro. Ci chiudiamo perché crediamo, così facendo, di difendere qualcosa che uscendo potremmo perdere. Ci siamo dimenticati che dobbiamo essere lievito e pretendiamo di mettere da parte il lievito o il sale per conservarli mentre in questo modo gli facciamo solo perdere sapore. Uscire non è perdersi, nel senso di non essere più nulla. Uscire significa entrare nella vita delle persone, ricominciare una relazione. Come possiamo immaginare di capire le persone senza una relazione? Di comunicare la bellezza del Vangelo senza una vicinanza? Questo è evidentissimo nella relazione impensabile tra un prete e Pasolini che, qui ad Assisi a partire dal 1962, ha permesso una nuova consapevolezza per tutti e quel capolavoro che è Il Vangelo secondo Matteo. Un film che da allora ha aiutato tanti ad avvicinarsi e capire meglio il Vangelo. Quindi entrare, entrare nella vita così com’è, con tutte le sue sfaccettature e contraddizioni. Poi certo, è come lo scandalo di Gesù che entra nella casa di Zaccheo il peccatore e non si limita a entrare, si siede a tavola. Entrare, sedersi, parlare, condividere, la Chiesa deve essere questo!
- Eminenza, viviamo un tempo difficile, un tempo in cui la guerra, che credevamo sparita dalla nostra vita, torna prepotentemente alla ribalta. Come viene affrontato questo tema e quanta consapevolezza c’è nella Chiesa e nelle Chiese locali rispetto alla centralità della pace.
Troppo poca purtroppo. C’è molta poca sensibilità e consapevolezza dei rischi dell’odio, della violenza, della guerra e dell’intossicazione dei vari nazionalismi. Diversi vescovi e più in generale la Chiesa stanno ponendo con forza il tema della pace. Lo stesso Papa Francesco da tempo, spesso inascoltato, a volte criticato, parla apertamente dei pezzi di una Terza Guerra Mondiale che è già in atto. La questione è che noi, ed è anche umanamente comprensibile, ne viviamo solo uno; quello che ora ci è più vicino, quello che ci coinvolge perché è nel cuore dell’Europa. “Se vuoi la pace, prepara la guerra”, be, se questa è la soluzione direi che proprio non ci siamo! Noi tutti siamo in debito verso i nostri genitori, verso i nostri nonni che hanno sperimentato la brutalità e l’assurdità della guerra. Stiamo disperdendo quell’immenso dono che ci hanno fatto, pagato anche al prezzo della loro stessa vita; la pace e lo facciamo come se fosse un destino ineluttabile. Per questo motivo siamo in campo per diffondere la consapevolezza che solo la cura della pace è soluzione. Essere operatori di pace è una delle beatitudini indicate dal Signore e se non c’è la beatitudine c’è l’inferno. La chiesa dunque non può essere neutrale rispetto al tema della guerra, la Chiesa deve essere profetica. C’è ancora tanto da fare!
Il Cardinale sorride e il suo sorriso, che sembra illuminare tutta la stanza, stona un po’ con lo sguardo preoccupato del collaboratore che ora sta vistosamente sbracciando per catturare la sua attenzione: «Eminenza, la prego ora dobbiamo proprio andare». C’è tempo solo per una bella e sincera stretta di mano e la carovana riparte verso la Sala della Pace dove lo attendono per un convegno dal titolo: “Eterno e il tempo presente”; in bocca al lupo mi verrebbe quasi da dirgli. Appena usciti dalla saletta riparte anche la girandola di fotografi, curiosi e giornalisti che lo circondano, noi rimaniamo dietro, rispettosamente in disparte. Lo guardo ancora un po’ mentre con i suoi movimenti veloci gesticola e parla davanti ai microfoni. Dietro di me un signore sulla sessantina, forse inconsapevolmente, si lascia sfuggire di bocca un commento, qualcosa che a me sembra più un auspicio che un pronostico: «sarà il prossimo papa!»
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