Studiare da Orso

by Dic 3, 2022Scrittura creativa

Studiare da stupido. Qualche anno fa ho incontrato per strada un vecchio amico psicologo che era da poco andato in pensione. Gli ho chiesto come se la passasse e lui mi ha risposto in un modo buffo e decisamente inaspettato: “Sto studiando da stupido”. Ho riso e gli ho chiesto cosa volesse intendere di preciso; lui, molto serio, ha detto che dopo una vita trascorsa a cercare di essere e di apparire più intelligente possibile, ora aveva intenzione di mettere da parte tutte le cose troppo complicate o che richiedono un particolare sforzo intellettuale. Insomma, al posto dei libri un bell’orto, l’oliveto da accudire. E ha trionfalmente concluso: “Ti assicuro: le zucchine sono meglio di Freud e Lacan. Arrivo a sera stanco morto ma con la testa sgombra e la notte dormo come un bambino”. Io ho ribattuto che a me sembrava, più che una forma di regressione intellettuale, una consapevole – e intelligente – ricerca della semplicità. Lui ha alzato le spalle, come se in fondo anche questa mia distinzione rientrasse nel novero delle inutili complicazioni. Mi è tornato in mente questo episodio, probabilmente perché è vicinissimo anche per me il tempo della pensione. Temo di non essere in grado di seguire il pur apprezzabile esempio del mio amico. Ho solide radici contadine, sono figlio di un padre che oltre al partigiano, al ferroviere e allo scultore, ha fatto anche il contadino e il boscaiolo, ma le mie inclinazioni rurali sono pressoché assenti. Non nego che un po’ mi stuzzichi l’idea dell’orticello ma, più della fatica della terra, mi attira quella – improduttiva – che occorre per raggiungere la vetta di una montagna. Soprattutto, non potrò studiare da stupido perché sono chimicamente incapace di rinunciare ai libri. Dunque, in quanto a stupidità, mi accontenterò della dose non trascurabile che mi ha fornito Madre Natura. Però ho deciso che dopo la pensione studierò da orso.

Studiare da orso. Non so molte cose sugli orsi. So che per cinque-sei mesi l’anno vanno in letargo e un insonne come me prova una certa invidia per questo sonno meravigliosamente prolungato. Oltretutto, andare in letargo subito dopo i risultati delle elezioni politiche sarebbe molto consolatorio. Ma naturalmente, quando parlo di orsi, mi riferisco al significato metaforico della parola. Quando diciamo a qualcuno: “non fare l’orso”, oppure: “sei proprio un orso”, intendiamo che questa persona si comporta in modo piuttosto asociale, preferisce la solitudine della tana alla compagnia dei propri simili e magari è anche alquanto ruvido nel modo di porsi. Ebbene, io voglio coltivare una “orsitudine” gentile ma tenace, riducendo in modo considerevole la mia presenza sociale. Non per una forma di snobismo né tantomeno di misantropia. Ho avuto il privilegio di svolgere per 40 anni un lavoro molto “sociale”, la cui vera essenza è costituita proprio dall’interazione quotidiana, emotiva e intellettuale al contempo, con gruppi numerosi di adolescenti. Il fatto che tutto questo mi sia piaciuto tantissimo, mi mette al riparo da ogni sospetto di misantropia. Mi viene in mente il motto epicureo “vivi nascosto”: l’ho sempre trovato molto interessante, così come mi è parsa molto suggestiva la scelta del monaco o dell’eremita che si allontana dal mondo per coltivare in modo ascetico il proprio dialogo con la divinità. Ma io mi sento assai distante dall’algido distacco del saggio epicureo, che dall’alto della propria saggezza osserva lo stolto dispiegarsi delle passioni umane. Per quanto riguarda la vita monacale, è naturalmente per me impraticabile, sia perché sono felicemente privo di qualunque propensione penitenziale, sia perché sono del tutto sprovvisto di una divinità con la quale dialogare. E dunque la “orsitudine” verso cui tendo è qualcosa di diverso.

Via dalla pazza folla. Seneca, nel “De brevitate vitae”, ci dice che è falso affermare che la vita sia breve. La natura ci concede un tempo sufficiente per realizzare le nostre capacità: la vita diventa breve solo quando dissipiamo il nostro tempo, impiegandolo in occupazioni inutili o dannose. In un’altra opera (Lettere a Lucilio), sostiene che uno dei modi più sicuri di sprecare il nostro tempo è frequentare la folla, quella che per esempio si accalca per assistere agli spettacoli pubblici, spesso intrisi di violenza e di cattivo gusto, che ci offrono una forma di intrattenimento superficiale e inutile. Io credo che i social, Facebook in primis, che è peraltro l’unico che frequento, costituiscano la versione aggiornata della folla di cui parla Seneca: una folla “virtuale” ma forse, proprio per questo, ancor più deleteria. Io ho circa 1300 “amici”, pur avendo eliminato tutti coloro che hanno lanciato anche solo blandi segnali di fascismo, razzismo, omofobia, fanatismo religioso, complottismo apocalittico o propensione all’insulto. Mi capita naturalmente di leggere cose intelligenti, divertenti o addirittura utili, ma a me sembra che la maggior parte dei post o dei commenti siano favolosamente inutili. Mi sfugge il meccanismo mentale per cui uno senta il bisogno di lamentarsi del caldo se è caldo o del freddo se è freddo; non capisco perché a 1300 persone dovrebbe interessare che ieri sera a cena ho mangiato una splendida carbonara o mi sono fatto un viaggetto al mare. Ho letto un libro che mi è piaciuto o mi ha fatto schifo? Ne parlo con le persone che condividono questo mio interesse. Non me ne vogliano i mei amici di Facebook: se risulto un po’ ispido, significa che i miei studi da orso procedono bene! Dunque, nel mio futuro immediato, buoni libri, buoni film, buona musica, spero qualche buon viaggio e l’incontro con le persone con cui vale la pena di dialogare.

 La saggezza dei boschi. Anche quest’anno ho trascorso molto tempo a Morro. Per fortuna la mia tana montanara è rimasta ancora intatta: le orde fameliche dei turisti si fermano a Rasiglia, che con involontario senso dell’umorismo viene chiamata addirittura “la piccola Venezia”. E anche questa estate ho fatto, tutte le mattine, meravigliose passeggiate. Ho percorso svariate volte il bellissimo castagneto lungo la strada che conduce ad Acqua Santo Stefano, mi sono immerso nei faggeti, nei cerreti che costeggiano i vari sentieri. Ho respirato l’odore di terra, di erba, di funghi, ho ascoltato la musica del vento, ho cercato, tra il verde delle fronde, gli emozionanti frammenti di azzurro. E ho pensato che gli alberi sono la vera essenza del pianeta, non noi umani, che ci siamo autoproclamati signori della Terra ma che in realtà siamo, nella sua storia che dura da miliardi di anni, solo una fugace e fastidiosa comparsa. A noi la natura non ha donato la profonda solidità delle radici né la felicità di svettare verso il cielo. Nei boschi, più che altrove, si compie ogni giorno la festosa tragedia della vita e della morte, nei boschi si può avvertire il sussurro del tempo, il saggio avvicendarsi delle stagioni. E ho avuto la certezza che in questi luoghi voglio trascorrere molta parte del mio tempo, come del resto si addice ad ogni bravo orso.

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